Il segreto dentro le parole. Racconto liberamente ispirato da esistenze incontrate nel cammino.

01.10.2020

Era da diverso tempo che Sole si sentiva vecchia, nonostante i suoi trent'anni anni. Quel vecchio pesante, stanco, che inizia a credere che la vita non valga più il costo richiesto, perché troppo bassa la merce corrisposta. Si sentiva di troppo, una persona in più buttata lì nel mondo, già persa prima ancora di avere iniziato il percorso. Sentiva di essere da meno: meno dei suoi fratelli, dei suoi compagni di scuola, dei suoi colleghi di lavoro, delle ragazze che il suo attuale ragazzo aveva avuto prima di lei. Un peso per alcuni ed un nulla per altri. Falsava questa miseria portando la maschera dell'arroganza, della risposta sempre pronta, della provocazione facile; ma poi ogni volta qualcosa dentro le stonava, come uno strumento che non emetteva la nota cercata, e nuovamente l'inadeguatezza non le risultava smentita.

Sole era la quarta di quattro figli, i suoi fratelli erano nati anni prima, lei era arrivata inaspettatamente quando la mamma casalinga non era più molto giovane e in un periodo in cui il padre non aveva troppo lavoro. Non era mai riuscita a sentire il pieno dentro di lei, il pieno dell'amore e dell'accettazione. L'unica cosa di cui si sentiva colma era il vuoto. E così, poco più che bambina, inaugura il tentativo di riempirsi usando il cibo: mangia ogni volta che sente la paura salire dallo stomaco, per cercare di ributtarla giù, insieme ai biscotti, alle torte, alle creme, alla fittizia dolcezza zuccherata. Spinta da una fame che in realtà di cibo non era. Gli anni passavano uguali, Sole cercava il suo posto nel mondo come riusciva, a volte con slanci di entusiasmo verso un nuovo lavoro, altre volte con passi fangosi su salite sporche.

Un giorno, durante la pausa pranzo, si siede su una panchina del parco vicino al suo ufficio, per mangiare della pasta fredda preparata da sua mamma la sera precedente. Solitamente non prestava attenzione all'ambiente circostante, non si soffermava a guardare gli alberi, non osservava il verde dell'erba e nemmeno odorava il profumo dei fiori, ascoltava solamente il sapore del cibo che stava consumando, come ulteriore vano tentativo di portare dentro del valore aggiunto. Ad un tratto, però, la sua attenzione è attirata da una coppia di fidanzati che si trova sulla panchina di fronte alla sua, questi stavano discutendo a voce alta, la ragazza incolpava il ragazzo di non essere mai presente, di non capirla e di essere soltanto un egoista. Mentre origliava incuriosita la rabbia dei giovani si accorge che nel frattempo un anziano signore si era seduto sulla sua stessa panchina, anch'egli spettatore della discussione.

Era un uomo modesto ma elegante, con uno sguardo stanco, con mani ruvide ma dalle quali erano facilmente scivolate via parecchie occasioni. Commenta verso Sole: "Se la ragazza dicesse semplicemente al suo ragazzo Mi manchi, ho bisogno di te, la distanza tra loro diminuirebbe. Le parole successive nascerebbero più facili".

Sole senza nemmeno pensarci gli chiede: "E lei come fa a sapere queste cose?".

Lui, trasparente: " Ho sbagliato tanto nella mia vita.".

Per qualche secondo tra i due rimane silenzio, il silenzio dell'ignoto e dell'imbarazzo, poi l'uomo ricomincia: "Sai ho imparato che dietro a ciò che diciamo c'è sempre Altro. C'è sempre un segreto dentro le parole."

"Facile dirlo!" afferma Sole, come se quella considerazione fosse sempre stata dentro di lei ma solo adesso stava esplodendo fuori... "Ma quando delle persone vicine ti esprimono chiaramente cosa pensano di te e dicendotelo ti fanno del male, non c'è molto da capire, non c'è molto da aggiungere. Mi creda!"

L'uomo che aveva imparato che bisogna prendere la vita al prezzo intero che ci costa, continua: "Mio padre è sempre stato distaccato da me, si avvicinava solo per darmi ordini su come impostare e vivere la mia vita... era l'unico modo che conosceva per essere un padre, per riuscire ad insegnarmi che bisogna farcela da soli perché lui, figlio di un padre vissuto in battaglia e morto in guerra, diceva sempre Si nasce da soli, si muore da soli. Non si avvicinava mai fisicamente, per un abbraccio, una carezza, un gesto d'amore. Stava lontano. Separato come un ateo da Dio. E io sono cresciuto con una convinzione che attecchiva in me come una radice che succhia l'anima: se mio padre mi sta lontano, è perché io non merito, non valgo e forse è meglio che anche io stia distante dagli altri, perché gli altri stanno meglio senza di me. Lo spazio della lontananza bruciava, urlava parole di vuoto, di rabbia di cani, di violenza da sfogare: senza rendermene conto decisi di farla esplodere verso me stesso e cominciai a bere. Anche l'alcol che scendeva giù bruciava e mi illudevo che questa incandescenza cancellasse quella primitiva, quella che mi stava lacerando e che mi ricordava che era meglio stare lontano dalle persone, per il loro bene. Quando poi sono diventato padre di un figlio maschio, ho cercato di fare del mio meglio, ho cercato di non dargli ordini come faceva mio padre con me, di lasciargli la libertà di decidere della propria vita senza condizionarlo e bloccarlo con delle imposizioni e delle direttive. Ma lo spazio tra me e lui era ancora occupato dalla lontananza. Come potevo avvicinarmi rischiando così di fargli del male? Se mio padre non si era mai avvicinato a me, come potevo farlo io con mio figlio? Io che ero l'erede di parole fermate nella gola, di gesti incapaci.

Dicevo a mio figlio: "Te la cavi anche senza di me". Dicevo a me stesso: ricomincerei a vivere se potessi avvicinarmi a te, ma rinuncio per salvarti. Mio figlio diventava grande e io mi anestetizzavo bevendo, cercando in questo modo di mettere a tacere la gravità di quello spazio di impossibilità, di quella zona riempita di assenza invece che di amore, di quel luogo vuoto dal quale ero nato e con il quale facevo il padre. Un giorno mi trovavo in un bar, puzzavo di alcol già ubriaco nel primo pomeriggio, quando per caso entra mio figlio. Io ero mescolato al dolore, rotto dalla vita, insufficiente dentro di me. L'ho guardato in faccia e ho visto tutta la sua rabbia e la sua pena, ho visto tutto ciò che fino a quel momento non volevo ammettere. Come se per me fosse sempre stato normale trovarmi davanti il suo sguardo sporco di disprezzo all'interno della nostra casa, una normalità comoda che non pretendeva più risarcimento; mentre ora, fuori dalle mura della quotidianità, la realtà si stava schiantando lì davanti. Ero stato squarciato da una nuova visione, ora gli occhi di mio figlio erano il mio specchio: lo specchio della miseria che era cresciuta insieme a noi, di quella storia di figli indegni, non ancora sopravvissuti, che solo adesso mi rendevo conto ci accomunava. Di quelle radici vuote che ci avevano generato. Figli ficcati nella vita, come ovuli fecondati in laboratorio e cuciti in uteri vuoti. Per giorni i cani dentro di me non hanno smesso di latrare. Colpe che mi urlavano in faccia, ferite che si spalancavano, burroni che mi parlavano arrenditi, arrenditi. Poi d'un tratto un frammento d'anima sopravvissuta, un frantume di me ancora vivo e da sempre celato, un pensiero limpido, una possibilità urgente: se non posso riscrivere la mia storia posso provare a dare un finale diverso a quella di mio figlio, posso ridargli dignità. Da quel momento, da quello spiraglio di me, non ho più toccato la bottiglia. Anche oggi i miei fantasmi mi seguono, sono bracconieri affamati dietro le mie spalle. Potrei ricaderci ad ogni alba, e ad ogni tremore mi ripeto che sto costruendo radici nuove per mio figlio e per me. Riparto ogni mattina da quello che resta. Scelgo ogni giorno, condannato al bivio".

E' la prima volta che Sole si trova davanti ad un adulto talmente audace da presentare la parte più fragile di sé, da non celare la propria miseria: "Quindi adesso lei abbraccia suo figlio?" Una domanda che in quel momento nascondeva, in realtà, il suo bisogno di cambiare la sua storia di figlia.

L'uomo rimane impietrito davanti a questa domanda, diventa silenzioso, si rende conto che rimane questo abbraccio non dato, sa che c'è da scalare questo altro muro, costruito con i mattoni ereditati da suo padre ma che oggi non appartengono più a lui. Un muro da abbattere con picconate d'amore e di coraggio, altro sangue da sudare, altri incubi da affrontare, altre angosce che si smuovono, presagi di rifiuto, ricordi di abbandono, scorie di figlio indegno, di padre bloccato nell'astensione. Detriti d'amore perso, che spazzati via dal fiume della vita ora si ritrovano adagiati a riva, non ancora morti, in attesa di essere recuperati.

Sole sentì che poteva provare a raccontarsi pensando che quell'uomo non l'avrebbe giudicata: "Una volta mia mamma, per raccontarmi della mia nascita, ha detto che quando ha saputo di essere incinta ha pianto tante lacrime, per tanto tempo."

L'uomo: "Le hai mai chiesto perché?"

Sole già pentita della sua rara apertura recupera la rabbia che da sempre l'aveva scortata, pensa che questo patetico pazzo in realtà non ha capito un cazzo dalla vita e con tono difensivo contrattacca: "Ma cosa dovrei chiederle?!? Mi sono sentita dire che il mio arrivo l'ha fatta piangere e dovrei anche stare ulteriormente ad ascoltarla?!?"

L'uomo: "Ricorda del segreto dentro le parole. Perché non le hai mai chiesto spiegazioni?"

L'irritazione di Sole ora si mischia all'arrendevolezza, come davanti ad un esame che ti scruta prepotente ma che può darti la possibilità di una cura: "Perché la frase di mia mamma è già abbastanza chiara!"

L'uomo: "E' la verità? E' davvero per questo che non le hai mai chiesto di spiegarti il motivo per cui piangesse?"

Sole ormai consapevole che l'intolleranza sentita verso le parole dell'uomo era in verità dedicata alla storia di cui era figlia, accetta di arrendersi: "No. La realtà è che ho paura. Paura di stare ancora più male."

L'uomo: "Che cosa ti può succedere?"

Sole: "E se mia mamma non capisse? E' una donna semplice, non ha mai letto libri, non ha mai parlato con persone che non conoscesse già."

L'uomo: " Potrai capire tu per lei. Tu che hai letto, incontrato, conosciuto volti e parole nuove, potrai comprendere che lei risponderà fino a dove, di lei, è arrivata. Starà a te carpire il segreto dentro le sue parole. Potrà succedere che anche tu non intuirai subito. Ma se ti permetti di chiedere metterai in moto un movimento che continuerà dentro di te anche quando non te ne accorgerai, proseguirà e ti farà arrivare risposte nel momento in cui sarai pronta a riceverle."

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Per tutto il tempo seguente Sole ripensò a quell'incontro, ripassava minuziosamente tutte le paure che da sempre la accompagnavano, che non le permettevano di sperimentare le cose, di andare oltre l'idea che aveva di sé. Le ore passavano e lei continuava ossessivamente a ripetersi Non posso chiedere niente a mia mamma, non servirebbe a nulla.

D'un tratto, però, lascia la sedia del suo ufficio e torna a casa prima del previsto. Scosse nel cuore smuovono pensieri di nuove possibilità.

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L'uomo ora è davanti alla casa dove da anni vive suo figlio, divenuto padre a sua volta. Sta per suonare il campanello, ha molta paura, una paura che salda le ossa, ma sa che nonostante questa non si fermerà: se suo figlio dovesse fuggire da questo primo abbraccio lui proverà e riproverà ancora; come ogni volta gira la schiena alla bottiglia nonostante gli spettri cuciti dentro di sé, così ogni volta si riavvicinerà a suo figlio. Ora sa che se suo figlio si scosterà non sarà perché non lo vuole, ma perché il cuore, per continuare a battere, cerca sempre di soffocare il dolore; ora sa che più suo figlio lo respinge e più in realtà ha bisogno di lui. E lui ora è pronto a ritornare, qualunque volta.

Oggi l'uomo è consapevole di riparare in questo modo le radici delle generazioni esistite prima di lui e di quelle che verranno. Riconoscendo a suo figlio il diritto all'amore lo riconosce a se stesso e permettendolo a se stesso lo concede anche al proprio padre, di cui è inevitabilmente parte. Accogliendo la possibilità di ascoltare il dolore, anziché cancellarlo, dichiara il padre non più colpevole, ma libero dai fallimenti del passato e dalle ferite inferte. Cosciente, ora, che se suo padre fosse stato in grado di essere diverso, di fare di più, l'avrebbe fatto, figlio a sua volta di una storia incompiuta. Grazie al potere della comprensione, sta liberando tutti i suoi avi, sta guarendo le sue generazioni passate e future.

L'uomo pensa al figlio e al nipote, frutti nuovi della stessa pianta, e riesce a dirsi: perché non si portino sulle spalle un destino che è solo mio, che non spetta per forza anche a loro; che possano lasciare a me i miei pesi, sollevarsi dalla mia storia e scriverne una propria.

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La mamma di Sole si trovava in cucina, aveva da poco terminato di fare la spesa e stava riponendo la pasta appena comperata. Sole sente il cuore accelerare fino a bloccarle il respiro, percepisce la nausea che le sale in gola, deglutisce per rimandarla giù. Questa era da sempre la madre di tutte le sue angosce, penetrante come l'odore del letame, innegabile come una verità, pretenziosa di fedeltà come un'illusione: la paura di non essere voluta, il terrore di non essere accettata. Poi l'istinto di sopravvivenza prende una forma nuova, si trasforma da meccanismo di difesa a coraggio, raggiunge la mamma e con le lacrime bloccate in gola le chiede: "Mamma perché quando hai saputo di aspettarmi hai pianto tanto?"

La mamma, inconsapevole dell'eco lasciato dal linguaggio che durante la vita aveva usato, figlia a sua volta di una madre che generava parole partorite dalla sopravvivenza, disarmata e semplice la guarda negli occhi: "Perché avevo paura di non riuscire a darti da mangiare."

La visione di Sole improvvisamente si squarcia, come il pezzo di un iceberg che toccato dal calore non può più rimanere attaccato al freddo, non può più essere ciò che era e crea spazio ad un mutamento. Il velo è caduto, il non detto ha avuto fine, si apre l'orizzonte delle possibilità. Ora vede davanti a sé tutti i piatti di abbondante pasta che la mamma le aveva preparato negli anni, insistendo per sfamarla anche quando lei diceva di non avere fame. Si ricorda di ogni volta in cui la mamma le aveva posato il piatto davanti, già pronto e caldo, in modo che non avesse nemmeno bisogno di alzarsi dal tavolo per andare a prenderlo in cucina. Rivede solo ora l'immagine di tutte le volte in cui la mano della mamma è arrivata dalla sua sinistra, è passata davanti al suo viso e si è posata sul tavolo, all'altezza del suo stomaco, per portarle nutrimento.

Con il coraggio che da poco aveva scoperto Sole abbraccia la sua mamma: ora ogni sua cellula riconosce il corpo materno, lo ricorda come ancestrale contatto con il calore, come originario canale d'amore, sente quel seno che un tempo si era trasformato per darle nutrimento, ritrova se stessa contro quel ventre che ritorna ora ad essere luogo di riparo, radice da cui alimentarsi. Si rende conto che tutto questo amore l'aveva già vissuto, che era già esistito, che le parole non dette l'avevano solo nascosto e che ora poteva tornare alla luce insieme a lei: amore e Sole partoriti di nuovo. Non occorreva reinventarlo, c'era solo bisogno di permettersi di accoglierlo.

Sole sente che è figlia di una storia che le ha fatto male ma che adesso può imparare ad amare, così come la mamma, per come poteva, ha sempre amato lei. In ogni abbraccio un pezzo si ripara.

Da quel giorno Sole continua a cercare il suo posto nel mondo, non senza timore ma con la consapevolezza che può smettere di non affrontare le sue paure: da adesso può guardarle, può starci davanti. Torna spesso sulla panchina del parco, l'uomo modesto ed elegante non l'ha più incontrato ma ora guarda gli alberi, osserva il verde dell'erba, odora il profumo dei fiori e ascolta il sapore della pasta cucinata la sera prima dalla sua mamma.

E oggi le basta quel piatto per non avere, finalmente, più fame.


Dott. ssa Jessica Azzali, specialista in Facilitazione delle Relazioni intra famigliari, di coppia, Abilità parentali, Costellazioni familiari.

Bibliografia: Jessica Azzali, tesi di specializzazione presso Scuola di Consulenza della Persona e della Coppia, Centro Studi Psicanalisi del Rapporto di Coppia del Dott. Gianni Bassi e Dott. ssa Rossana Zamburlin, anno accademico 2013/2014

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